Le agromafie aggrediscono il Made in Italy
Nel mese di gennaio 2015 è stato presentato il terzo Rapporto annuale sulle Agromafie, realizzato dall’Eurispes, in collaborazione con la Coldiretti e l’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, la Fondazione voluta e costituita da Coldiretti con la presidenza del Comitato Scientifico del procuratore Giancarlo Caselli, avente come obiettivo la creazione di un sistema coordinato e capillare di controlli idonei a smascherare i comportamenti che si pongono in contrasto con la legalità nel settore agroalimentare.
In Italia, negli ultimi anni, è in crescita la consapevolezza che il cd. Made in Italy agroalimentare incontra rischi e difficoltà che, paradossalmente, nascono proprio dalla sua unicità e dal suo carattere di eccellenza.
All’estero, infatti, il solo fenomeno dell’Italian sounding sottrae ogni anno una quantità di valore prossima al doppio dell’export agroalimentare. Parallelamente sul territorio italiano, in molte filiere – con un ruolo attivo della criminalità organizzata e spesso con la connivenza di industrie trasformatrici nazionali – vengono introdotte materie prime di varia origine che successivamente vanno a comporre un prodotto “finale” definito a tutti gli effetti come “italiano”. Questo gigantesco fenomeno imitativo e l’insieme delle contraffazioni e delle adulterazioni alimentari non solo erodono l’immagine di uno degli asset centrali del sistema economico del nostro Paese, ma sottraggono ricchezza e occupazione, indeboliscono le piattaforme produttive, mettono a rischio la sicurezza dei prodotti alimentari e quella ambientale, frodando i cittadini.
Dal Rapporto annuale sulle Agromafie emerge che il giro di affari dell’agromafia cresce, in controtendenza alla fase di recessione dell’economia italiana, con un aumento del 10% in un anno, raggiungendo 15,4 miliardi di euro nel 2014.
Lo studio pone in evidenza come produzione, distribuzione, vendita siano sempre più penetrate e condizionate dal potere criminale esercitato ormai in forme raffinate attraverso la finanza, gli incroci e gli intrecci societari, la conquista di marchi prestigiosi, il condizionamento del mercato, l’imposizione degli stessi modelli di consumo e l’orientamento delle attività di ricerca scientifica.
Dal rapporto si evince anche che i capitali accumulati sul territorio dagli agromafiosi – attraverso le mille forme di sfruttamento e di illegalità – hanno bisogno di sbocchi, devono essere messi a frutto e perciò raggiungono le città – in Italia e all’estero – dove è più facile renderne anonima la presenza e dove possono confondersi, infettando pezzi interi di buona economia.
L’incremento dei predetti fenomeni – sottolineano Coldiretti, Eurispes ed Osservatorio sulla criminalità nell’agroalimentare – è stato determinato da diversi fattori, tra i quali, alcuni non prevedibili, come quelli climatici, che hanno colpito pesantemente la produzione, non più in grado di soddisfare la domanda, ciò che apre le porte a fenomeni di ulteriore falsificazione e sfruttamento illegale dei nostri brand; altri, dovuti alle restrizioni nell’erogazione del credito alle imprese che hanno portato alla chiusura di numerosissime aziende o alla necessità per molti imprenditori di approvvigionarsi finanziariamente mediante il ricorso ad operatori non istituzionali. Il fenomeno delle “agromafie” investe ambiti complessi e articolati, dove il sistema mafioso originato nelle radici antiche delle mafie del latifondo, dei gabellieri e dell’abigeato si è da tempo rigenerato in forme di vera e propria criminalità economica, ad opera di ben strutturati ed invasivi gruppi di interesse con ramificazioni diffuse anche sul piano transnazionale. È attraverso queste forme di imprenditorialità criminale che viene assicurato innanzitutto il riciclaggio degli illeciti patrimoni che provengono dal traffico di stupefacenti, dal racket e dall’usura, ma vengono anche consolidate le nuove forme di controllo del territorio in cui i soggetti criminali sono veri e propri soggetti economici che operano con i metodi del condizionamento dei mercati e degli appalti, della corruzione dei pubblici funzionari, dello sfruttamento della manodopera clandestina e dell’accesso illecito ai finanziamenti europei e alle altre pubbliche sovvenzioni.
Gli interessi criminali sono rivolti anche alle forme di investimento nelle catene commerciali della grande distribuzione, nella ristorazione e nelle aree agro-turistiche, nella gestione dei circuiti illegali delle importazioni/esportazioni di prodotti agroalimentari sottratti alle indicazioni sull’origine e sulla tracciabilità, della macellazione e della panificazione clandestine, dello sfruttamento animale e del doping nelle corse dei cavalli, e lucrano anche sul ciclo dei rifiuti, non curandosi delle gravi conseguenze per la catena agroalimentare, per l’ambiente e la salute di tutta la popolazione presente e futura.
Per contrastare tutto ciò è fondamentale che, a livello nazionale, si rafforzi un baluardo contro la contraffazione e l’omologazione dei prodotti Made in Italy, la concorrenza sleale, le azioni illegali che minano la salute delle persone e dell’ambiente. E in questa direzione occorre muoversi per realizzare iniziative di elevato livello scientifico volte a diffondere un’adeguata conoscenza e consapevolezza in merito all’esigenza di tutelare e preservare il Made in Italy nel settore agroalimentare e tutto quello che rappresenta, ossia quell’insieme unico di tradizioni, cultura, paesaggio, vocazioni del territorio, che è presente nei nostri prodotti di qualità.